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a sangue? disse don Noè, dopo aver osservato il giovane con attenzione.

— Faccia Iddio che vi aggradisca egualmente il mio appetito, caro zio! rispose Bruto di aria mezzo sorridente e mezzo triste, per far capire a don Noè che aveva fame.

A queste parole lo zio fece una smorfia.

— Questi nipoti di provincia sono tutti compagni, mormorò egli; pieni di buone intenzioni, ed affamati. Le buone intenzioni svaniscono, la fame resta.

Nel frattempo Bruto dava un’occhiata in giro all’appartamento, come un usciere che si prepara a far sequestro. S’avvide allora che c’era in un angolo qualche cosa che si moveva, rannicchiato sopra sè stesso, con un rosario di corno di bufalo tra le mani, gli occhi stupidamente sbarrati sullo zio e sul nipote, la testa e le orecchie tese in avanti come chi si sforza di udire e di comprendere. Bruto allora chiese:

— Chi è quel gnomo, vecchio come la strega di Andorra e scheletrito come San Girolamo?

Il sagrestano si grattò di un’aria grama il cranio calvo e borbottò:

— Tutti li stessi questi ragazzi! E’ non si adattano a ciò che accettiamo noi. Ah! che bel mobile mi ho acquistato!

La vecchia serva, che Bruto aveva chiamata gnomo, non mosse palpebra. Don Noè soggiunse:

— A proposito, non vedo che tu abbi con te nessun baule. Come stiamo a vestiti, eh?

— I miei parenti detestano la pluralità.

— E a denaro?