Pagina:Petruccelli Della Gattina - Il sorbetto della regina, Milano, Treves, 1890.djvu/325

Maestà andò a sedere sul divano. Ruitz rientrò ed annunziò che Bruto, opportunamente di guardia quella notte ai Pellegrini, sarebbe fra una mezz’ora al capezzale dell’ammalata.

Seguì un silenzio — silenzio di piombo.

Lena si contorceva e lacerava le vesti sul suo petto. La sua respirazione galoppava saltabeccando. La si udiva, in mezzo a quel sinistro silenzio, come il rantolo d’un orologio in una leggenda di spettri. La regina guardava Ruitz. Ruitz aggrinzava il suo terribile rictus, come una tigre che sbadiglia. Quella mezz’ora fu eterna. Finalmente si udì un lontano rumore nelle prime anticamere.

— Eccolo! gridò Lena, sforzandosi di sollevarsi. Ah.... troppo tardi! soggiunse poscia ricadendo sul letto.

S’apre la porta. Entra Bruto. La regina gli addita, senza moversi, il letto e l’ammalata. Bruto riconosce Lena e si precipita sul letto reale.

Osserva e trema.

E’ sollevò allora la testa di Lena e volle prendere il lume sul tavolo, onde meglio guardarla in faccia. Vide in quel momento qualche cosa.... una boccetta forse, un Agnus dei, che so io? Fece un movimento d’orrore, indietreggiò fino ai piedi della regina, cadde in ginocchio e d’un accento supremo di disperazione gridò: Grazia.

La regina lo mirò stupefatta, come qualcuno che non capisce; poi, come se ella avesse afferrato il senso della parola di Bruto, sclamò:

— Grazia! ah! sì. Sta bene questo, giovane mio; amo le persone che credono in Dio e si volgono a lui nei momenti supremi. Sì.... prega; Dio vi farà grazia.