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Dopo questa dichiarazione, la dama di compagnia si alzò, Ondina sedette al piano e cominciò.

Non saprei dire tutto ciò ch’ella cantò. Dimenticando dove era, ed in presenza di chi ella fosse, invasa dalla fata delle melodie, Ondina si slanciò nel cielo dei suoni armoniosi ed ispirati; passò da Parisina alla Semiramide, dall’Anna Bolena alla Straniera, dall’Otello alla Donna Caritea, dal Giuramento agli Arabi nelle Gallie, dalla Vestale alla Saffo, Norma al Roberto Devereux, alla Maria di Rohan, alla Linda, al Pirata, al Bravo, alla Sonnanbula, alla Lucia di Lamermoor.... e, dovunque erano note tristi e tenere, canti soavi ed espressivi, ella li colse, li riunì, ne tessè una corona.

Poi, per bizzarria, ella spiccò un raggio di qui, uno spicchio di là, un razzo all’uno, un profumo all’altro; a questo un gorgheggio, a quello un largo, ad un terzo una cabaletta, a quell’altro un bagliore e si levò in una tale apoteosi di splendore, che la si sarebbe detta una cascata di pietre preziose cadenti da una coppa d’opala in un bacino d’oro. La regina sorse ad abbracciarla e le principesse non si tennero indietro.

— Ah! io comprendo, sclamò la regina, perchè ognuno si affretti a compiere i vostri desideri, o incantatrice! Deh! non vogliate chiedere a Giovi d’oltremonti, che umiliano i re, di cangiarci in pastorelle.

Ondina capi l’allusione e, giungendo le mani, rispose con voce toccante:

— Aspetto tutto dalla grazia di Vostra Maestà.