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cui per anni, aveva tenuta nascosta nei ripieghi i più reconditi del cuore.

Ruitz, dunque, parlò. Egli credeva presentare soltanto la sua giustificazione, ed egli portava un colpo spaventevole: e demoliva la speranza di una donna a quarant’anni. La principessa, non pertanto, non fiatò motto. Sanguinò all’interno: ciò che è il peggiore di tutte le ferite, come il sorriso senza schiudere le labbra è il più disgraziato dei sorrisi.

La principessa partì quel giorno più presto del solito. Ruitz andò alla Reggia onde fare ispezione de’ suoi canarini.

Alla Corte, dalla regina madre, egli udì parlare di Ondina. Per lui Bruto e Ondina non formavano che un odio a due teste.

Si raccontavano le avventure di quella giovane, ed in che modo l’ambasciatore di Francia era andato a prenderla al battello a vapore. Si rimontava a ciò che aveva fatto a Parigi pel colonnello, l’incendio che aveva destato contro la Corte di Napoli, il successo straordinario che aveva ottenuto al Teatro Italiano. Questa catena di fatti svegliò un’idea, o meglio un desiderio nello spirito della regina Urraca. — Vorrei proprio udir cantare codesta donna, diss’ella.

Desiderare, per una testa coronata, è comandare.

Senza dir aitro, la regina si pose allo scrittoio e, tanto peggio per l’ortografia e la grammatica, scarabocchiò il suo invito autografo. Però non lo spedì. Ondina si trovava in una posizione eccezionale. La regina poteva dessa, diplomaticamente, invitarla e riceverla?