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La povera Lena o Ondina ignorava completamente la storia di Cecilia.

Ella amava Bruto d’un amore semplice, senza tamburi e senza trombette, nell’istesso modo che si respira la vita aprendo la bocca, che si guarda il cielo aprendo gli occhi. Le lettere così semplici, così confidenti di Ondina, lette una dietro l’altra senza prender flato, produssero in Bruto come una specie di barbaglio, di vertigine. Qualche cosa ch’era chiuso si aperse in lui. Egli comprese che l’amore non è sempre la delizia dei sensi. Ei si sentì aleggiare nelle zone temperate del marito, senza passare per l’atmosfera infiammata dell’amante.

Ruitz ebbe vento di tutto ciò, e ne fu indispettito. Nel fondo del suo cuore, egli non aveva ancora forse rinunziato a Bruto e, più il suo stabilimento passava per vicissitudini volgari, più egli rimpiangeva il tempo in cui Bruto l’aveva retto con tanta dignità. Questo matrimonio ora era una conclusione, un’offesa impiantata sur un disinganno, e tutti e due innestati sur un danno. Ruitz comunicò questa notizia alla principessa, la quale ricordava sempre Bruto senza rancore e si mostrava inesorabilmente implacabile contro di lui, Ruitz, per l’infame traffico che aveva fatto di sua figlia.

Ruitz capì che la principessa era gelosa, che ella aveva forse sorpreso nel cuore di Bruto qualche palpito d’amore per Cecilia e ch’ella attribuiva la lontananza del medico a codesto amore.

Che trionfo ora, che giustificazione, se egli le apprendesse che Bruto sposava la donna,