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vano già alla bello e meglio. Non mancava che il colpo di grazia. Il ministro di polizia, offeso della berta datagli la sera precedente dall’ambasciatore, lo portò.

Il capitano del Sully ritornò a bordo col commissario di polizia, che diede pratica.

Si principiò l’appello; quando arrivò il nome di Ondina.

— Voi non potete scendere, disse il commissario. Il vostro passaporto non è in regola. Ci manca il visto del console del re di Marsiglia.

— Ma io ho dei dispacci a rimettere all’ambasciatore di Francia, sclamò Ondina perduta.

— L’ambasciatore verrà a prenderli se non ha la gotta.

Ondina cadde affranta sopra una panca del naviglio.

Un addetto all’ambasciata di Napoli a Parigi, che portava anch’egli dei dispacci, scese pel primo, guardando con un’aria di trionfo la povera vittima.

Tutti partirono. Ondina chiese del capitano.

— È sceso a terra, signorina, rispose il pilota marsigliese, e non ritorna che domani mattina.

Ondina ruppe in lagrime e si coperse il viso.

Era ancora nel parossismo della desolazione, quando vide un canotto, alla bandiera francese, staccarsi dalla Belle-Poule, scivolare sul mare silenzioso e leggiero come un raggio di luna, avvicinarsi al Sully e parlamentare. Si abbassò la scala e un personaggio salì sul cassero.