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Gli avvenimenti avevano camminato e si erano aggravati. L’ambasciatore aveva inviato alla prigione un addetto alla legazione, onde assicurarsi se il colonnello avesse forza abbastanza per difendere la sua causa, messa al ruolo fra quattro giorni. L’addetto non era stato ammesso a visitare il prigioniero.

Il principe di Joinville era entrato in rada il giorno prima, sulla Belle-Poule, in via per la Grecia. Il re gli aveva mandato un aiutante di campo per complimentarlo. Il principe lo aveva fatto ricevere da un ufficiale subalterno, dicendosi malato e poche ore dopo era andato a pranzo all’ambasciata.

La sera stessa, dall’ambasciatore d’Inghilterra, che dava festa al principe, il ministro della polizia aveva stesa la mano all’ambasciatore di Francia: questi distratto, aveva posto in tasca la sua, fingendo guardar altrove. Poi, in un gruppo, si parlava di un discorso che il signor di Chateubriand aveva pronunziato alla Camera dei Pari, al tempo della ristorazione.

Il ministro degli affari esteri del re disse:

— Ho pranzato da lui a Roma, lo conosco.

— Quale fra le sue opere preferisce, vostra eccellenza? interrogò non senza ironia l’ambasciatore d’Austria.

— I beefsteack! sclamò ridendo l’ambasciatore francese, anticipando la risposta.

L’arguzia non era nuova, ma cadeva a proposito: perocchè dicevasi a Napoli che quella eccellenza passava più tempo nella sala da pranzo che nella sua biblioteca.

La disputa erasi inciprignita; si rimbecca-