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portando all’ambasciatore di Francia dispacci, di cui e’ non era giunto a sapere il contenuto, ma che aveva ragione di creder molto gravi.

Questa notizia cacciò la febbre addosso ai ministri degli esteri e della polizia. Il re ruggiva come una bestia feroce. Ma come presentare all’udienza un uomo malato ancora di febbre tifoidea? come trascinare sopra una barella questo moribondo, questo scheletro? Pure fra tre giorni arrivava il Sully.

Se si avesse avuto almeno dinanzi a sè una settimana! se si fosse potuto almeno avvelenare codesto avanzo di soldato, che creava tanti guai! Lo si poteva certo; ma l’ambasciatore francese avrebbe dimandato un’autopsia, ed allora!.... Il colonnello, d’altronde, conoscendo a fondo i suoi Borboni, non prendeva medicamenti, non riceveva il medico e si curava da solo, come voleva difendersi da solo. Nè prendeva altro rimedio che il ghiaccio.

Infine i tre giorni passarono. Erano sembrati tre secoli alla Corte, ai ministri, all’ambasciatore francese, che conosceva già il contenuto dei dispacci, e sopratutto ad Ondina, a cui era noto meglio che a tutti. Di fatti aveva appena messo il piede sul ponte del Sully a Marsiglia, che chiedeva già al capitano quando arriverebbero.

— Fra tre giorni, signorina.

— Tre giorni! ma la è un’eternità.

— Non avrei mai creduto che si potesse avere tanta premura d’arrivar a Napoli, signorina, osservava il capitano, che era francese, anzi