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— Ahimè! sì, me ne venne l’idea, ma non eravamo abbastanza in fondi, in quel momento. Portai, dunque, questo messaggio alla società. Trovai che il consiglio degli efori si era riunito e deliberava. Mi fecero entrare. Esposi il risultato della mia missione. Fui ascoltato in silenzio e qualcuno tentennava il capo. Finalmente, quando ebbi detto tutto, un di loro — un certo Fuina, — nostro agente presso il prefetto ed il ministro di polizia, prese la parola e mi svelò un fatto che mi fulminò.

“Mia moglie Cecilia, sottraendosi per un momento alla sorveglianza del suo angelo guardiano, aveva côlto il parroco di Sorrento, si era confessata ed in confessione gli aveva comunicato tutto ciò che ella aveva sorpreso sull’esistenza ed i lavori della nostra società. Il parroco era corso immediatamente dal vescovo e gli aveva riferito il caso, sotto il suggello della confessione; il vescovo, sotto lo stesso suggello, ne aveva messo a parte il re, il quale non essendo nè vescovo, nè confessore aveva detto tutto al ministro di polizia ed al capo della giunta. Eravamo, dunque, braccheggiati.

“La mia ganza ci aveva miseramente denunziati.

“La sua morte fu decisa nel consiglio.

“Alcuno non mi aveva fatto l’oltraggio di sospettarmi. Si ebbe anzi la generosità di confidarmi l’esecuzione della condanna.

— Attenzione delicata! osservò il cameriere diplomatico.

— Infatti si ebbero per me i riguardi che mi