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rirsi dalla misantropia sotto quel cielo imbalsamato. Condussi meco l’angelo guardiano di Cecilia. Costei non mi perdonò mai il mio amore ed i modi che avevo usati verso di lei. Ma allora io non me ne curavo più che tanto. Avevo rannodati i fili della mia vecchia società e rimesso in su i giustizieri dell’ordine pubblico.
— Infatti sarebbe stato un peccato il lasciar perire un’istituzione così ammirabile, osservò il carceriere in capo.
— Oh certo! riprese il conte. Solamente io non era più allora il presidente.
“Durante la mia assenza, i dissidenti avevano preso il disopra e perfezionata la mia opera. Ciò non impedì che io non chiedessi di essere ristaurato nella pienezza dei miei diritti. Mi si rispose che il nostro governo era elettivo e non ereditario, che noi non eravamo dittatori a vita, ma consoli, e che tutto quello che si poteva fare per me, per i miei meriti, i miei servigi, la mia abilità era di associarmi al governo. Io mi credetti offeso e risposi come quel generale dei gesuiti: Sint ut sunt, aut non sint! vale a dire: o presidente della repubblica, o nulla. Mi si allogò allora una pensione a vita molto convenevole e mi nominarono dittatore per le circostanze supreme della società, lasciandomi quieto in tempi ordinari. Accettai.
“Primo passo verso la sventura.
— Ma, a proposito, osservò il curioso carceriere in capo, avevate, dunque, dimenticato, in tutto questo tempo, il degno vostro avvocato?
— V’ingannate. Avevo già aperto un nego-