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CAPITOLO XII.


L’Eva del conte d’Altamura.


Il conte si riposò alquanto, prese un bicchiere di punch e ricominciò:

“Un cavaliere napoletano e sua moglie erano arrivati presso un agente del principe di Noto, il quale ha vaste tenute in quel paese, per darsi, così dicevano essi, al piacere della caccia delle quaglie. Seppi di poi che quel signore era proprio il figlio del principe, il marchese Annibale di Diano, che aveva rapito quella giovane e si sottraeva alle ricerche della polizia. Il villaggio era in tripudio. Il mio vescovo dava dei pranzi. I missionari, che facevano il loro giro da quella parte, davano delle rappresentazioni. Il marchese dava la sera dei raouts, ove si giuocava e si beveva.

“Io mi trovai presente quando il marchese arrivò all’improvvista in casa dell’intendente di suo padre. Non erano ancora, egli e sua moglie, seduti in cucina, — cucina che in provincia serve da camera da ricevere, da camera da pranzo, e talvolta anche da camera da letto, — che un