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Una parte dei letti era stata depositata nel fondo del dormitorio, a guisa di divani turchi; un’altra parte, tolti via gli stramazzini, era stata trasformata a tavole, a panche, che, con un po’ di buona volontà e d’immaginazione, si potevano addomandare mensole.

Due o trecento candele, ficcate un po’ per tutto, in bottiglie o in candelieri, oppure semplicemente su de’ chiodi, illuminavano la vasta sala, le cui pareti, per fortuna, erano state imbiancate da poco.

Si ornarono le finestre di rami d’alberi e di fogliami, di cui un galante carceriere volle bene far dono alla “società„. Uno spazio vuoto fu lasciato all’estremità, vicino alla porta, pei danzatori ed accanto ai divani si allestì un buffet che avrebbe fatto impallidire quelli delle feste dei ministri di Sua Maestà Siciliana. C’era di tutto su quella tavola preziosa! Che Dio mi perdoni! perfino del thè, che in quel tempo, a Napoli, si comperava dai farmacisti come un rimedio.

Una parte delle coperte dei letti serviva di tappeto in quell’angolo della sala, interdetto ai ballerini, un’altra copriva le tavole ed i canapè. Tutto ciò che era commestibile e per bibite venne dal di fuori; dai fornitori reali argenteria, piatti, cristalli, coltelli, tovaglioli, tovaglie, tazze.... fin anco quattro guastade a fiori e quattro lampadari.

I signori della prigione s’erano tutti sbarbati, lavati, passati al ranno, vestiti del loro meglio, prestandosi reciprocamente ciò che avevano per farsi più belli. Si desolavano della man-