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Poi misurò un calcio per di dietro al barbiere, lo spinse fuori e si pose a gironzare su e giù per la sala, zufolando. Pareva commosso.

Nel frattempo mastro Zungo, contento delle approvazioni del maestro di scuola, andò a raschiare gli altri suoi clienti, annunziando dappertutto la vocazione che aveva scoperta in suo figlio. Poi, a mezzo giorno tornò a casa,

In pari tempo arrivava Bruto, duro duro, tutto di un pezzo, tranquillo come un dio Termine, col viso sporco, un pacco di libri e di carte sotto il braccio, col naso rosso e la testa coperta da un berretto di carta a due corna, sopra il quale stavano scritte le regole dei gerundi e dell’ablativo assoluto, che aveva portato via ad un condiscepolo.

Mastro Zungo, malgrado le sue mille ed una debolezza, sapeva all’occorrenza mostrare del carattere. Ma, quando una dozzina di bicchieri di vino ballava nel suo stomaco, era ostinato e brutale e non ammetteva risposta ai suoi ukasi.

Ora, siccome il fatto dei bicchieri di vino si riproduceva spesso e non si manifestava alla bella prima con dei sintomi particolari, Egidia e Bruto si guardavano bene dal contraddirlo, perchè nella collera il barbiere abusava dei suoi pugni. Finito di desinare, mastro Zungo fece segno colla mano che nessuno si alzasse da tavola e parlò.

Lo si sarebbe detto il destino.

— Avendo consultata la tua fede di nascita, signor Bruto, e avendo trovato che hai diciotto anni; avendo consultato il registro dell’imposta