Pagina:Petruccelli Della Gattina - Il sorbetto della regina, Milano, Treves, 1890.djvu/26

tutto, perchè non saprei che cosa farne, se non ne fo un medico.

— L’è una ragione sufficiente, avrebbe detto il gesuita, rispose il sergente parlando col naso, poichè il barbiere lo teneva per questa parte importante del suo viso.

Secundo, perchè alla fin fine deve fare qualche cosa, senza di che creperà di fame.

— È giusto, e tu ragioni come mastro Schiaccia.

Tertio, perchè, dalla testa ai piedi, ha tutto quanto occorre per farne un medico.

Jour-de-dieu! come mi martirizzi questa mane.

Quarto infine....

— Infine, infine, atqui non è buono a nulla, ergo egli è buono a esercitare la medicina. Ecco come la pensava appunto un tamburo del mio reggimento che restò in Egitto a far il dottore. Andatene, dunque, a tutti i diavoli tu e tuo figlio e fanne pure un carnefice, che ciò m’è indifferente. Io non ho più nulla da insegnargli. Gli ho dato le ultime lezioni di intrepidezza, di disinteresse e di onestà. Ho finito. Felice notte. Avrei voluto vederlo soldato. Tu invece dici: medico. Impiccatevi dove volete. Del resto, hai forse ragione. Il soldato ora fa concorrenza al gendarme. È uno sbirro. Addio.

Il sergente si sforzava a parere volgare, pedante e ruvido, per non eccitare l’invidia, e quindi le denunzie de’ suoi maligni compatriotti alla polizia ed al vescovo.

Parlando dunque così, egli fece un saluto alla bottiglia che era sulla tavola e ne tracannò una golata.