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toso. Queglino che amano le donne di Rubens l’avrebbero carezzata come il loro ideale. Tiziano se ne sarebbe leccato le dita. I colori foschi dei suoi vestiti le davano splendore come il niello ad una lamina di metalle.

La principessa Elisabetta si aggirava da un’ora nel suo gabinetto, come una lionessa nella sua gabbia, presa da impazienza febbrile. Ma la sua ansietà sarebbe sembrata leggera, in confronto di quella del conte.

Egli rientrava appena, quando la principessa arrivò.

Ruitz aveva corso la città dalle sei del mattino in cerca di qualche cosa, o di qualcheduno, rimuginando in tutte le case di sua conoscenza o di conoscenza di sua figlia. Aveva principiato da quella di Bruto, ma Tartaruga lo aveva ragguagliato che questi era partito la vigilia per Castellamare e non era ancora ritornato.

Ruitz osò perfino picchiare alla casa del marchese di Diano, di cui sapeva l’istoria, come la sapevano sua figlia e tutti gli altri, avvegnachè Bruto gli avesse raccontato che il principe Antonio l’aveva sottratto alle ricerche della polizia. In fine stanco, scoraggiato, temendo un colpo sinistro della fortuna, in preda a mille vaneggiamenti fantastici, intravedendo la sua rovina, era rientrato, passando per l’appartamento di sua figlia, e se ne stava nel suo studio, torcendosi da un’ora sul suo seggiolone.

Di un colpo la porta s’aprì e Bruto apparve sulla soglia.

— Hai veduto Cecilia? gli gridò il conte di lontano, alzandosi di balzo.