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nato. Quell’insieme formava un certo che di dentro, ove tutto era soffice: il suono, la luce, il tempo, lo spazio, la temperatura.

La fata del luogo aveva in realtà quarant’anni, ma i più audaci, i più osservatori, non le ne avrebbero dato che venticinque, in questo medio dell’indefinito.

La principessa di Kerson era prodigiosamente conosciuta a Napoli, a causa della sua meravigliosa rassomiglianza colla regina madre. Si sarebbe detto che fossero due gemelle, se l’una non fosse nata in Spagna e l’altra in Polonia; — questa qui era polacca vedova d’un russo. Nessun sapeva ove la principessa abitasse. Le si dava per dimora una casa di campagna a Posilipo, sulla riva del mare, ove un yacht restava sempre amarrato per riceverla. La si vedeva di rado per le vie di Napoli. Non s’incontrava in nessun sito, eccettuato nelle case dei poveri vergognosi che andava a soccorrere di nascosto. Ecco tutto ciò che di lei si diceva.

Probabilmente il conte ne sapeva di più. Quelli che l’avevano conosciuta nella sua casa ne conoscevano all’incirca quanto abbiamo detto, eccettuato forse taluni dettagli intimi, che ogni buon cavaliere serba per sè e nasconde altrui, anche a costo del suo sangue. Tale qual era, la principessa era bella. Lo sarebbe stata ancor di più, se la pinguedine non le avesse dato una vita un po’ maestosa, e se il colore un po’ troppo vivo del sembiante non l’avesse prosaizzata.

Del resto le mani, i piedi, la fronte, il seno, le spalle, il collo, i lineamenti, gli occhi, le labbra, i denti.... tutto era squisito ed appeti-