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sono, non ho alcuna presa sui ministri del re. No, andrò a Parigi. Donizetti mi accompagna. Egli è amato e stimato in Francia. Il principe di Joinville non gli rifiuterà ciò ch’egli gli chiederà in mio ed in suo nome. Arrivati a Parigi otterrò che l’ambasciatore di Francia reclami mio padre come colonnello dell’esercito francese. Poi ritorno portando meco il riconoscimento di mio padre come colonnello di Napoleone e barone dell’Impero, la sua sorte messa in regola dal ministro della guerra del Re Luigi-Filippo, il suo ritiro dal servizio attivo come invalido e la sua pensione come quella degli altri militari dell’Impero.

— Ah, se non fosse un sogno ciò che dite là, signorina! esclamò don Gabriele.

— Non è un sogno. Io non ho detto che si trattava del mio proprio padre; ma ho costrutta una storia su questo subbietto. Donizetti ha promesso di aiutarmi e mi diede buone speranze. Nè ciò è ancor tutto.

— Cos’altro allora?

— Manderò a mio padre, in una scatola d’oro, il dispaccio del ministro della guerra francese, senza dirgli ancora chi sono. No. Non voglio presentarmigli nè sotto il nome di Lena, nè sotto quello di Ondina, che devono ricordargli tristi memorie e ridestare dolori che non possono esser lenti. Voglio darmi a conoscere a lui sotto il nome di mio marito.

— Come, disse don Gabriele, avete già un marito in aspettativa?

— E da molto tempo. Ma, ahimè! L’è forse un mio vaneggiamento. Mi vorrà desso? Ascol-