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— Come! gridò Bruto orribilmente pallido.

— Il marchese tenevasi vicino al mio letto.... mia madre m’aveva venduta.

— Oh! l’infame! l’infame!

— Bruto, ella è morta di tifo, all’ospitale, miseramente, pentita forse, in delirio, credendosi inseguita dalla polizia. Non insultiamo alle ceneri d’una tomba.

Seguì un istante di silenzio.

— Dopo questo esordio si comprende il resto, osservò don Gabriele.

— Il resto non fu senza lotta, nè senza nuove astuzie. Io resisteva sempre, quantunque il malore fosse oramai irreparabile. Le promesse non mi seducevano punto. Il marchese mi faceva orrore altrettanto che paura. Non volli più uscire di casa. Non cedetti neppur alla violenza. Mia madre era una tempesta. Il marchese invece, dopo le prime collere, si raddolcì e sembrava non aspettare più nulla che dalla mia volontà.

— Scellerato e ipocrita!

— Un giorno mia madre mi portò una lettera, che diceva essere della Tessari, colla quale quella eccellente donna mi invitava a passare la sera da lei alla Barra, alle porte di Napoli. Accettai. La lettera era falsa. Il marchese e mia madre avevano combinato insieme che andremmo tutti e tre a passare un mese nella sua casa di campagna ai piedi del Vesuvio. Partimmo, infatti, la sera.

— Era un tranello!

— Arrivati alla porta del palazzo Serignano, mia madre discese, sotto pretesto di andar a