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quell’orribile sergente, mutilato e zoppo, gli è a causa di me?...

— Come! Come! un duello, un sergente al quale manca un braccio ed una gamba... signora Lena, e quel sergente è...

— Un maledetto spadaccino, un uomo sitibondo di sangue, un furioso: e non è stato neppur ferito. Dio! dormiva, dunque, a mezzanotte?

— Dio mio, te ne ringrazio, esclamò Bruto fuori di sè.

Lena ripetè a Bruto tutta la storia, che il conte di Sala le aveva raccontato due ore prima; Bruto aveva riconosciuto il colonnello alla prima parola.

— Come tutto s’intreccia sotto il soffio del destino! Se tu sapessi, Lena.... Ma, no, non qui, non qui.... Raccontarlo qui è impossibile. Pronunziare il suo nome alla porta di questo ferito, che è il tuo damo, sarebbe un sacrilegio.

— Tu mi allarmi e m’impaurisci, Bruto. Cosa è dunque? Vieni da me allora....

— Da Ondina?

— No, no, da Lena. Qualunque sia la mia sorte, qualunque sia la tua, permettimi di non essere mai sempre per te che la povera affamata e pezzente, che hai conosciuta onesta, per tanti mesi.

— Sì, bisogna ch’io ti parli e che tu sappi tutto.

— T’aspetto. Da tre ore in poi, la mia porta chiusa per tutti, anche per Donizetti, anche pel mio vecchio maestro Coralto. Ho anch’io tante cose da dirti.