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una porta, che dava in un’immensa corte scoperta, che serve di passaggio fra due vicoli.

Era giunto alla metà del cortile, quando sentì l’estremità d’un bastone che lo toccava alla spalla e una voce che gli gridava:

— Diavolo di veterano! colla tua zampa di legno tu fuggi, dunque, come un cavallo inglese?

— Cosa volete, signore? disse il colonnello di voce ferma e calma, alzando la testa.

— Una semplice curiosità, generale, rispose il marchese. Vorrei sapere se i tuoi mustacchi sono tinti coll’istesso lustro dei tuoi stivali.

E in pari tempo allungava la mano per tirarglieli. Il colonnello indietreggiò d’un passo.

La corte è deserta. Due lampioni la rischiarano d’una luce affumicata.

Gli amici del marchese fanno cerchio. Alcune teste coperte da berrette da notte si mostrano alla finestra. Il cielo è splendido, sotto la fosforescenza di tutte quelle miriadi di stelle che lo fanno scintillare, come il broccato del vestito di una regina di fate, in un ballo spettacoloso.

— Signore, disse il colonnello con accento sempre freddo ma concentrato, vi chiedo ancora una volta che cosa volete da me? chi siete? chi vi manda? che significa codesta stupida provocazione? Sapevo che la polizia aveva delle spie. Ma non credevo che assoldasse altresì dei bravi in guanti gialli.

— Io sono il marchese di Diano, rispose costui di un tuono ringhioso. Non volevo che mostrare ai tuoi occhi il colore delle tue orecchie, ed insegnarti le convenienze che si serbano nei