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falsa via. Egli lasciò i suoi allievi in balìa della grazia operante, e li abbrutì col latino.

Codesti allievi non imparavano nulla, giuocavano alle carte, correvano per la campagna a rubacchiar le frutta ed i legumi. I più grandicelli leggevano anche dei libri osceni. Ma baciavano le mani dei superiori con un’aria beata, servivano la messa, accompagnavano il Santissimo, miagolando il Tantum ergo, salutavano il signor arciprete quando lo incontravano, recitavano l'Ave in latino... ed i RR. Padri, il trono e l’altare si dichiararono soddisfatti.

Non la fu così però di Bruto.

Egidia aveva ammaliato l’invalido.

Egli rifrugò nella sua testa. Riunì tutto ciò che gli restava di scienza, quello che aveva veduto ed appreso nelle sue corse attraverso l’Europa, ciò che leggeva qua e là e rimpinzò tutto ciò nel cranio di Bruto a furia di sferzate.

Bruto sapeva quindi il latino, la metafisica, la storia moderna e la geografia, come poteva insegnargliela un uomo che aveva girato il mondo; e Bruto cinguettava anche un tantino di francese.

Un pizzico di questo, un pizzico di quello, senza contare le pratiche della vita militare.... C’è da stupirsi, dunque, se le lezioni del maestro bollivano nel cervello dello scolaro, come i diversi ingredienti della zuppa di zia Egidia? di guisa che mastro Zungo non aveva torto quando affermava che suo figlio non era della stoffa di cui si tagliano i soddiaconi.

Il barbiere entrò dall’invalido. La casa del sergente offriva lo spettacolo dell’abbandono.