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che d’andartene? Grazie tante. Alla gogna con me, malfattrice. Il dottore ha detto che tu devi morire o che il tuo stato deve avere lo svolgimento ordinario. Ho riflettuto da tre giorni a questa parte. Tu non puoi morire ancora.

— Siete, dunque, felice della mia vergogna?

— La vergogna non macchia nella nostra famiglia, madchen Ruitz! essa alimenta, capisci?

— Padre mio!

— Chiamami: compare e dirai meglio.

— Voi avete qualche cosa di sinistro a dirmi, signore, esclamò Cecilia con voce più ferma; voi non osate farmi una rivelazione; dite alla bella prima il vostro pensiero e chiaramente. Vedrò cosa mi resta da fare.

— In altre circostanze ti avrei fatta partire per Parigi, onde guarirti in qualche stabilimento speciale, e ti avrei fatta ritornare ragazza come prima, dicendo ai curiosi che la tua nonna, la vecchia marchesa di Arbacos Llamanda... — sai di chi parlo! — ti aveva voluto nel suo castello in Ispagna! Ora, invece, ho bisogno di te. Se tu mi fossi inutile, ti avrei abbandonata alle cure del dottor Tibia: eri in buone mani. Ma ora io ti associo ai miei affari.

— Quali affari?

— Ciò non ti concerne punto. Tu non sei che il "compagno" nella società. Il nome principale della ditta è affar mio. Ma il tuo precoce prodotto non entra nei miei conti. Bisogna che io lo sconti sotto altro nome. Non mi comprendi?

— Non oso comprendervi.

— Grazie della modestia! Ti lascio, dunque