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Bruto non venne, quantunque il conte l’avesse fatto chiamare dal suo servitore.
Gli scrisse allora che chiedeva di lui, non per sua figlia, ma per sè stesso e che il dispiacere gli aveva causato uno spargimento di bile.
Lo pregava di venire per avere un consulto con uno dei suoi colleghi.
Bruto non aveva nulla da opporre; la sua suscettibilità di professione non aveva nulla a dire. Arrivò all’ora fissata; ma il suo collega, non essendo ancor giunto, dovette aspettarlo. Bruto evitò ogni allusione verso la signora Cecilia e s’informò della salute del conte, che non pareva visibilmente alterata.
Suonano le due, passano ancora alcuni minuti, la finestra, che dà sulla scala a chiocciola, si apre, entra una donna velata, e sorpresa come la prima volta di quell’incontro e dopo aver avvolto Bruto nei suoi sguardi, traversa lo studio e sparisce dietro la cortina di velluto, accompagnata dal conte, col berretto alla mano.
— Il vostro bracco vi ha appreso qualche cosa?
— Sì, signora.
— Cosa, dunque? come siete lungo!
— Il marchese ha rapito una modista ed è sparito con essa.
— Sparito! Si può forse sparire da Napoli?
— Sparito, signora, svaporato, senza lasciar traccia alcuna.
— Benissimo; lasciamo tutto ciò. M’ero già rassegnata. Quest’uomo è morto, Ruitz.
Il conte s’inchinò fino a terra.