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canti di cavalli, i dissipatori, i truffatori, quantunque fosse relativamente onesto.

Al caffè chiamava il cameriere dando un colpo di bastone sul tavolo, o gli gettava in faccia ciò che gli aveva chiesto, col piatto e tutto, se non gli andava a genio. A teatro parlava sempre ad alta voce, arrivava tardi e se ne andava prima che finisse, camminando sui piedi dei vicini; guardando con aria ironica i giornalisti, con aria protettrice le donne e con aria di sprezzo il resto del genere umano.

Tale era il marchese di Diano.

Avendo, dunque, ottenuta la grazia di sfuggire ai lavori forzati, in causa del duello, il vecchio principe di Noto, come abbiamo già detto, si trascinò a corte e presentò suo figlio al re perchè lo ringraziasse. Ferdinando II lo rimproverò severamente.

Presentato poscia alla regina madre, il marchese ebbe l’onore di baciarle la mano, dopo ch’ella gli ebbe ricordato dolcemente che una donna velata dev’essere rispettata e che la collera, che fa mettere le mani nel sangue, non è aggradevole al Signore.

Il conte di Llamanda era là a dar da mangiare ai canarini. Tutto ciò era naturale. Il re aveva fatto grazia non potendo rifiutarla alla regina; la regina l’aveva chiesta commossa dalle lagrime del principe di Noto, vecchio servitore dei Borboni; il re si era mostrato severo, da guerriero qual era, la regina si era mostrata buona e dolce cattolica.

Ma ciò che vi ebbe di più curioso si fu che il conte di Ruitz, che avrebbe dovuto essere in