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Non parlo dei pettini, dei solini, del calamaio e delle penne, d’un sonetto principiato e lasciato lì dopo la prima quartina....

In mezzo a questa farragine di cose, il marchese stava ritto come la colonna di Trajano. Moralmente parlando, bene inteso, poichè fisicamente, senza essere di piccola statura, il marchese non era molto grande.... Non era nè grasso nè magro, ma ben proporzionato, solido e muscoloso.

Portava la barba intiera: una bella barba, nera come i suoi capelli ed i suoi occhi. Se non seguiva esattamente la moda, talvolta la precedeva. Del resto elegante ma semplice, vestendosi sempre in Inghilterra da Davis, da Waterloo Place, che non toccò mai un soldo delle sue fatture. Il suo panciotto aveva sempre qualche bottone allacciato per isghembo; portava sempre un bastone armato, dei guanti gialli, i capelli un po’ arruffati ed il cappello sull’orecchio destro. Il marchese non parlava mai l’italiano, ma il dialetto napoletano, di cui conosceva tutte le finezze un po’ leste e gli scherzi poco puliti. Gesticolava molto ed energicamente. Fumava, giuocava e dava del tu a tutti.

Circondato da una massa di sacripanti che gli si dicevano amici, la spacciava da padrone e in mezzo ad essi sputava sentenze e decreti. Era conoscitore di ragazze, di cavalli, di cani, di ballerine, di cantanti e d’artisti. Con una parola giudicava ciò che poteva esser materia di un’appendice teatrale. Proteggeva tutte le seconde donne dei teatri di musica. Conosceva tutti gli scapestrati della città, gli usurai, i mer-