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La figlia del fabbricante di violini, Ondina, cantava dietro le quinte la cavatina di quello spartito, un vero capolavoro. A quel canto la intera platea scoppiò in applausi frenetici e chiese la replica.

Ripetuta la cavatina, si chiamò fuori l’artista.

Era Lena. La sua bellezza cangiò il successo in frenesia. Fu ammirabile in tutta la sua parte. Bruto s’accorse che il colonnello diveniva tristo.

— Vi sentite male, o è l’emozione che vi produce il dramma? gli chiese.

— Ho voglia di fischiare questa giovine attrice. Andiamo via.

— Ve ne prego, colonnello, aspettiamo la fine....

Il colonnello si rannicchiò nella sua seggiola e parve addormentarsi. Nuova scena di Lena, un rondò di centomila diavoli, un fuoco d’artifizio di suoni arzigogolati, vocalizzati con abilità straordinaria, che passavano dai sibili d’una tempesta al dolce respiro d’una fanciulla addormentata. Nuovo diavoleto d’applausi.

Il colonnello non potè più resistere ed uscì.

Il dramma, del resto, finiva. Bruto l’accompagnò. Rientrarono senza dir parola.

Il colonnello aveva mal di capo ed andò a coricarsi. Bruto passeggiò nella stanza fino alle due del mattino e non chiuse occhio tutta la notte.

Al domani egli ebbe un lungo colloquio con don Gabriele. Discussero se dovessero svelare al colonnello di aver ritrovato la sua vecchia amante e la di lei figlia.

Don Gabriele fu d’opinione di non dir niente,