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di Lena fino al momento in cui sarebbero sicuri di potergli raccontare qualcosa che non fosse un immenso dolore o un’immensa sventura.

Strappare Giuseppina dalla tomba, dove il colonnello la credeva discesa, per gettargliela nelle braccia incarnata in quella Serafina, la sarebbe stata davvero una cattiva azione. Restava Lena; bisognava cercare di salvare questa ragazza e sottrarla a sua madre. Bruto ci pensava.

Lena era sul punto di rappresentare una parte in una nuova commedia ai Fiorentini; passava le mattine alle prove. Quando non c’era nulla a fare al teatro, restava a casa a lavorare. Bruto la incontrò due o tre volte, come per caso, ma non potè parlarle, perchè c’era sua madre. Non osava interrogare i vicini per non destare sospetti. La sua tutela era, dunque, poco efficace. Don Gabriele, occupato del tramestìo dell’ammobiliamento della casa nuova, non aveva avuto tempo di aiutare Bruto; e le cose erano a questo punto quando arrivò il colonnello.

La era una sera di settembre. Le finestre erano aperte. Era l’ora in cui don Gabriele dava rappresentazione al teatro di Donna Peppa. Bruto studiava. Tartaruga pregava sonnecchiando nello stanzino che le era stato destinato, non come ad una serva, ma come ad una house keeper, come dicono gl’Inglesi, cioè qualcosa meno di una padrona di casa, ma qualche cosa di più di una fante.

Il colonnello arrivò a piedi, vestito da ser-