Pagina:Petruccelli Della Gattina - Il sorbetto della regina, Milano, Treves, 1890.djvu/121

— Chi essi? i tuoi padroni? coloro che ti danno le tue rendite?

— I ritornati: i Borboni. Egli aveva lasciato una donna, partendo.

— Che gli cuciva le camicie?

— Ch’egli amava, vecchia, e che voleva menare in moglie al suo ritorno. Voleva pure dare un padre al figliuolo che le aveva lasciato partendo. Capisci ora, strega? Ma nulla. Giuseppina, credo che si chiamasse qualche cosa come così, quella bella giovane, era sparita.

L’uomo fissò gli occhi sulla donna, che scopava sempre, senza saper ciò che si facesse, a scosse, a sbalzi, con mano convulsa. E gli voltava sempre la schiena.

— È, dunque, morta codesta... come la chiami? codesta bella giovane?

— Il mio colonnello l’ha creduto e lo crede ancora. La camera ove egli l’aveva lasciata, vico del Sole, al suo ritorno, era occupata da un cuoco.

— L’è proprio sfortunato codesto tuo colonnello-sergente.

— Se ne tornò al suo paese, dove si diverte a dare la ferula ai ragazzi. Ora, mi dirai dove abita questa Serafina Minutolo?

— Hai finito, brutto spione, colle tue storie, eh?

— Quali storie, dunque?

— E che sì che il tuo curato e la tua buona signora non si chiamassero ei forse il commissario Campobasso e madama polizia?

— Che diavolo borbotti, dannata megera! Tu mi insulti!