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— È il nome del mio sergente.
— Graziosa! caporale. Tu eri, dunque, il cappellano del tuo reggimento, eh?
— È un soprannome. Il suo vero nome è Pietro Colini.
La donna, che continuava a spazzare, si fermò e del suo sguardo avviluppò l’uomo. Fu un lampo. Di gialla la sua pelle divenne grigia. Ma ciò non durò che un secondo. Si rimise a scopare con più furia di prima. L’uomo non fece attenzione a quella nube passeggiera, giacchè sembrava commosso, e disse:
— Zia, dammi una sedia.
— Per far che?
— Per porre a sedere la mia emozione, vedi. Egli è che quando penso a certe cose vecchie....
La donna lo guardò di nuovo con una strana fissazione delle pupille, poi rispose freddamente:
— Ti occorrerebbe, per avventura, ancora un cordiale? Lascia che accenda la tua pipa, almeno; l’hai spenta colle tue lagrime.
— Vi sono delle cose che fan gomitolo sul cuore, vecchia, ed il tuo cuore stesso, che è fatto di vecchia suola, ne sarebbe commosso.
— Lo credi? uomo tenero!
— Ho detto sergente. Ebbene, no! il mio povero Pietro Colini era colonnello, decorato della Legion d’onore, barone, e, se Napoleone non fosse caduto, l’avrebbe nominato conte e generale sul campo di battaglia di Waterloo.
— Sei, dunque, tu che l’hai degradato, e ne hai fatto un sergente all’imboscata di sei camicie, caporale?
— Zitto, strega, sono essi.