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nico, che la dice per solito quando gli altri vanno a pranzo. Eh! monsignore dovrebbe pensarci! A quell’ora in chiesa non ci sono che i sorci, che ne fanno di belle fin sotto l’abito di san Francesco, e due o tre mendicanti, che contano i tozzi di pane accattati. Poi, poi... vediamo! non c’è altro, mi pare. Don Martino è andato a Napoli per un’operazione....

Mastro Zungo s’interruppe, poi riprese:

— Finiscila dunque, badessa del diavolo, con codesto tuo russare! e così dicendo dava un punzone a sua moglie! finiscila dunque! Tu disturbi la mia meditazione, e le mie elucubrazioni, direbbe quel mustacchietto di don Timotino. Ah! questi piccoli scellerati di carbonari non si limitano più a non farsi la barba, parlano anche un linguaggio massonico. Che Dio li scortichi, poichè non si lasciano servire da me! Dunque è andato a Napoli e vedrà quell’avaro di mio fratello don Noè, che là giù suona campane e campanelli.

Qui il soliloquio del barbiere fu interrotto da un rumore che s’udì nella stanzuccia vicina. Era Bruto che, sognando di giuocare a saltacavallo, rotolava giù dal letto.

— Ah! esclamò mastro Zungo, che caro bricconaccio è quel mio bambinone. Ha dello spirito anche quando dorme, salta dal letto come un turacciolo di una fiaschetta di birra. Chi direbbe mai che la grossa balena, che grugna vicino a me, ha collaborato meco alla composizione di questo gioiello, che scintilla come ferro in una fucina?

Qui mastro Zungo tacque; poichè una frotta