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sposi, la pelle color d’un vaso etrusco e qua e là butterata dal vaiuolo.

Mastro Zungo non fece caso di tutto ciò: vanitas vanitatum! Egli la sposò, e si misero a lavorare insieme la vigna del Signore.

Dio benedisse questi lavoratori; e nove mesi dopo raccolsero un bel scimmiotto di bimbo. Ma essi si fermarono alla prima posta; poichè da allora Dio li punì con una delle più brutte piaghe d’Egitto: la sterilità — con grande stupore dell’arciprete. Di maniera che messer Bruto, loro figlio, aveva giusto diciott’anni quando principia questa storia.

Mastro Zungo, risvegliato di così buon’ora, nè potendo raccattar il sonno, incominciò a pensare... diciamo pensare!... ma il degno barbiere aveva l’abitudine di parlar da solo, come gli uomini che hanno una coscienza tranquilla.

— Ebbene, mastro Zungo, amico mio, brontolava il barbiere, fa un po’ i conti, e metti in ordine la tua giornata. Oggi è martedì. È, dunque, il giorno di barba del notaio, della moglie del sindaco e di quel dannato Sacco-e-Fuoco. Se la signora Psiche — che Dio la confonda! con quei mustacchi prendersi un nome che non sta nel calendario — se la signora Psiche non ha l’emicrania, se ha battuto i suoi sette piccini, e accarezzato i suoi sette gatti, in mezz’ora l’avrai spicciata: poi andrai a salassare il bove del Filazolo, che farebbe meglio a salassarselo da sè, quell’ubbriacone! Poi andrai ad applicare il vescicante alla mula di Galeotto. E, poichè sei lì, brigante, alla porta della chiesa, ci entrerai e servirai la messa di don Dome-