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E continuò a passeggiare.

Spuntò l’alba.

Il panorama cangiò nell’interno di Bruto ed all’esterno. Rassettando la stanza per ricevere i preti, il santese ed i membri della confraternita in cui era ascritto don Noè, Tartaruga smosse il cappello che Bruto aveva gettato sulla tavola, entrando il giorno precedente e trovò la lettera che il parroco inviava al sagrestano. Bruto la prese e l’aprì. Alla prima parola, che lesse, fece un salto come una palla elastica. Lesse in fretta le tre o quattro linee che conteneva e corse alla finestra.

Quella di contro era ancora chiusa.

L’aurora si alzava sul mare ed infiammava il cielo.

Bruto cadde affranto sopra una sedia.

In quel momento don Gabriele entrò.

Era la sola persona, quasi, che Bruto considerasse come un amico. E veniva chiamato da Bruto, per attendere al funerale.

Bruto cacciò la lettera in tasca e disse a don Gabriele che gli parlerebbe più tardi.

Poco dopo vennero i preti e la confraternita e il cadavere fu trasportato alla chiesa di San Matteo per la celebrazione delle esequie.

Tartaruga lo seguì.

Bruto restò solo di nuovo.

Si gettò sul letto e pianse.

Mezzogiorno era passato di molto quando Tartaruga, tutta in lagrime, e don Gabriele, con delle provvigioni nella pezzuola, ritornarono dal cimitero.

Alla vista di quelle stanze, vuote dell’uomo