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giusto il quinto giorno dopo l’arrivo del vescovo. Concettella istruì allora l’inviato ministeriale della catastrofe che era avvenuta, del gran dolore di questo povero fratello, dello stato in cui era caduto, e lo introdusse con precauzione nel salotto.

Don Domenico restò egli stesso colpito alla vista di quella ruina opaca, che si sarebbe detto il cenotaffio vivente di un’anima. Si sarebbe ritirato, se non avesse avuto un dovere da compiere, un messaggio reale da comunicare. E’ non poteva retrocedere. Si avvicinò dunque dolcemente e restò in piedi nel raggio visuale del vescovo.

Don Diego cominciò a guardarlo senza vederlo. Poi le sue pupille, sempre enormemente dilatate, quasi avesse preso della belladonna, si contrassero, si restrinsero, si animarono, s’infiammarono per gradi. L’iride scintillò e dardeggiò l’odio. Don Diego riconobbe il satana, che aveva il primo contaminato sua sorella col pensiero ed aveva ordito progetti infami su di lei. Un rossore subito salì al suo viso. Le labbra scialbe fremettero e si colorarono.

Don Domenico comprese la reazione ch’egli provocava in quell’anima assiderata, e fu sinceramente contento del disgelo che si operava. Per determinarne la rottura completa, e’ si tacque e squadrò il vescovo. Infatti questi principiò dal dimenarsi sulla sua sedia con impazienza, poi si alzò come di soprassalto e gridò:

— Che cosa venite voi a fare qui, signore?

Il sortilegio era rotto. Don Domenico s’inclinò dunque con rispetto e s’affrettò a rispondere: