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con occhio calmo ed indifferente, poi rispose placidamente:

— Il reverendo padre Piombini è in sagrestia.

— Grazie, replicò don Gabriele. Vado infine ad acchiapparlo colà.

Nel fondo, don Gabriele era inquieto. Quell’andare e venire che faceva gli tornava alla memoria la parola piena di ansietà del gesuita di Roma, ed e’ si rimproverava oramai il ritardo, l’infedeltà che messa aveva nell’esecuzione della commissione. Entrò in sagrestia. Cercò degli occhi qualcuno cui rivolgere la sua domanda. Vi era una quantità di padri che si vestivano e svestivano degli arredi sacerdotali, di ritorno dall’altare o per andarvi; poi un nugolo di frati conversi che li aiutavano. Don Gabriele ne sbirciò uno, il cui viso gli gradiva meglio, lo accostò e gli domandò:

— Fratello... come vi chiamate voi?

— Frate Colella.

— Fra’ Colè, vorresti dirmi dove è il padre Piombini?

Questa dimanda provocò una contrazione involontaria sul viso del frate converso. Don Gabriele la rimarcò, ed il suo cuore si chiuse. Dopo un istante di esitazione, frate Colella chiese:

— Che cosa vi occorre dal padre Piombini?

— Ho bisogno di parlargli.

— Chi siete voi? lo conoscete voi?

— È il mio confessore, rispose intrepidamente don Gabriele.

— In questo caso, sclamò frate Colella, pregate per lui.