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vicino sul capezzale di lei. Concettella l’accudì come una madre. Il padre Piombini, chiamato da Bambina, venne a vederla. E’ fu allora che il gesuita e Don Diego ebbero un colloquio di parecchie ore, con grande soddisfazione di quest’ultimo. Che gli disse? Molte cose sullo stato sociale, sullo stato politico di Europa, sulla situazione degli spiriti, sulla rivoluzione che si era operata nella coscienza delle masse, sull’essenza del principato al XIX secolo. Ei gli fece la diagnosi della religione, gli schizzò il carattere del gesuitismo e del papato quali erano, quali avrebbero dovuto essere, come alcuni spiriti intuitivi dell’avvenire e dei riformatori li consideravano. Il P. Piombini non disse che una parola sul conto di Bambina, se viveva, parola che calmò l’inquietudine del fratello.

Don Diego ebbe a volta sua una considerevole conversazione col marchese di Sora, di cui egli conosceva oggimai le vere tendenze. Il marchese ignorava naturalmente le pie intenzioni del re intorno a quel "vescovo del diavolo". Il marchese era libero pensatore o volteriano, come egli diceva.

— Io ho questo vantaggio su di voi, signor marchese, rispose Don Diego: io sono panteista.

— Io non discuto la religione nè come filosofo nè come teologo, osservò il marchese, ma come ministro della polizia. Crediate o non crediate, ciò non mi riguarda punto. Teologi e filosofi han bottega di teorie e di principii; paghino dunque patente al governo e traffichino liberamente di loro derrate. Ma, come strumento di governo, l’atteg-