Pagina:Petruccelli Della Gattina - Il Re prega, Milano, Treves, 1874.djvu/381

— Donna, io ti rendo il tuo giuramento: noi non siamo più nulla. Non ritornare più qui; io non ti riceverei altrimenti. Noi siamo oggimai stranieri. Ti perdono il male che mi hai fatto. Rubare al prigioniero il suo raggio di speranza, gli era come un rubare al prete l’ostia consacrata sull’altare: ma t’hanno assolta. Tagliare il filo che attaccava questo sciagurato al mondo; avvelenare il soffio che gli arrivava ancora dalla società; rituffarlo nell’ergastolo dell’ergastolo, gli era un infliggergli la solitudine nelle tenebre; ma ciò ha trovato grazia nella considerazione di questi signori. Io mi associo a loro; io ti assolvo e ti scaccio. Sii felice, se lo puoi. Io te l’auguro. Esci adesso, va via subito, non torcere il capo, non guardare più da questa banda.... e’ sarebbe un insultare la sventura.

Concettella scoppiò in un impeto di singhiozzi, e senza osare profferir verbo, fuggì. Gabriele si mise a ginocchio davanti a Filippo, e sclamò:

— Fratello, io ti ho insultato, io ti ho offeso: Vendicati!

Filippo cavò il coltello dalla tasca e guardò intorno — i galeotti dopo Gabriele. I politici si copersero il viso delle mani e picchiarono alla porta per sottrarsi alla vista di quell’assassinio. Gli altri forzati indietreggiarono, lasciando uno spazio libero tra loro ed il galeotto inginocchiato e quello che teneva il coltello levato sul capo della vittima. Filippo sostò un istante, arrossì della sua ferocia. Egli ebbe forse orrore dell’atto cui la collera dello schiaffo ricevuto gl’inspirava. E’ piegò dunque il mollettone, lo nascose di nuovo, e rispose: