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Il gruppo dei politici, incrostato di quella ganga involontaria, ascoltava i rumori del di fuori, cui Filippo aveva acciuffati alla grata da un parente che era venuto a vederlo. La polizia terrorizzava Napoli. Dei numerosi arresti avevano avuto luogo. L’Austria faceva avanzare un esercito negli Stati del papa. L’Inghilterra brontolava. Il signor Guizot si faceva piccino piccino per scivolare tra le dita dell’Austria. Pio IX tuonava. Carlo Alberto stava in agguato, in aria torva e selvaggia.... e che so ancora. Tutto ciò abilmente frammisto a speranze onde provocare a terrore, onde paralizzare l’azione.

Gabriele si ravvicinò. Filippo parlava alto; non vi era dunque indiscrezione ad udire. I politici commentavano quelle novelle, ciascuno secondo il suo criterio; — ciò che Filippo desiderava anzi tutto. Il bagno era per la polizia il termometro dell’opinione pubblica al di fuori. Tutto ad un tratto, Filippo si rivolse a Gabriele e gli disse:

— Paglietta, io ho ancora qualche novelluccia per te.

— Per me? rispose Gabriele; tu t’inganni. Io non ne attendo alcuna.

— Ed ecco appunto perchè essa viene.

— Di chi dunque? Io non ho padre, io non ho madre, io non ho nè fratelli nè sorelle....

— Ma tu hai una moglie....

— Alto là! gridò Gabriele levando fieramente la testa. Sta attento, Filippo!

— Attento a che? rispose la spia. Se tu non vuoi udire, vattene. Io parlo a questi signori.