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egualmente i suoi occhi schernitori sul prete. Ambi si misurarono dalla testa ai piedi, si compresero.
— Monsignor reverendissimo, dimandò Don Diego, codesta confessione è dessa indispensabile?
— Dubiteresti tu dunque dell’efficacia di un sacramento? sclamò il vescovo.
— Il sacramento può esser buono, monsignore, ma le disposizioni del penitente e del confessore non altrettanto. Il padre Sanchez l’ha detto.
— I gesuiti, figliuolo mio, facci attenzione, non sono sempre finamente ortodossi.
— Vostra Eccellenza appartiene alla compagnia di S. Alfonso.
— Così dunque?
— Sta bene monsignore.
— Allora vatti a raccogliere per qualche minuto nella camera qui presso, mentre io scrivo due parole al procuratore generale di Potenza.
Don Diego obbedì. Però monsignore lo udì a passeggiare nella camera ove ei doveva darsi alla preghiera ed all’esame di coscienza.
— Quest’uomo è pericoloso, mormorò monsignore scrivendo la lettera.
Dieci minuti dopo chiamava Don Diego, che si mise in ginocchio e fece sembiante di confessarsi male o bene. Monsignore non l’interruppe punto ed ascoltò. Quando Don Diego ebbe cessato di parlare, monsignor Laudisio dimandò:
— Hai finito, figliuolo?
— Sì, monsignore.
— Tu non obblii nulla?