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piange. Il mento avanzava e civettava di una fossetta; la quale, lungi dall’abbellire il sembiante, rassomigliava ad un buco restato lì da una cicatrice. Quel mento poi si sarebbe detto applicato alla faccia ad opera terminata, quasi come cosa obbliata nella formazione generale e quivi incrostato alla carlona, alla guisa di certi ornamenti dei mobili a buon mercato.

La testa si dondolava sul busto ed aveva un’espressione nel tempo stesso funebre e sinistra, sopra un fondo grottesco. Figuratevi Arlecchino rappresentante la parte di Amleto. Camminando ei si dimenava, o piuttosto le sue carni spongiose tremolavano, — altro segno di natura cattiva, quando questo fenomeno si osserva in un giovane corpo. Il suo occipite cadeva in linea retta e piatto sul collo, — e codesto denunziava la sua assenza di sensibilità e la sua freddezza verso la donna. Aveva orecchie immense, dall’interno della conca bizzarramente accidentate. Tutto ciò, impiastrato insieme, produceva un certo che non brutto, che non era maestoso, che non era simpatico, che non era rispettabile, che prestava a ridere e dava i brividi, cui si guardava come un oggetto curioso, e da cui si aveva cura di tenersi in distanza — nel tempo stesso Saturno e Sileno affetti da idropisia. La sua voce era chioccia, fessa come una vecchia campana, una specie di squittìo di scimmia che singhiozza.

Il morale non era poi meno bizzarro del fisico. Ferdinando II era avaro come tutta una sinagoga. La regina Teresa, sua mogliera, rattoppava i fondi