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Monsignor Laudisio stese la sua mano al prete che la baciò, piegando il ginocchio, e lo lasciò in piedi senza dir motto. Don Diego potè contemplare così a suo comodo il grande disordine del gabinetto episcopale.

In una biblioteca, alcuni volumi rovesciati, collocati di traverso con dei segnuoli di carta, — dei libri di teologia, — poi la Storia della Chiesa di Fleury, il Codice del Regno, i Commentari sul Codice, di Tullier, le opere di S. Alfonso di Liguori, l'Orlando Innamorato di Berni, La Scienza e la Fede, giornale dei gesuiti, un volume di Walter Scott.... Dei fasci di carta occupavano le poche sedie del gabinetto; dei fascicoli in carta bollata, dei pezzi di minerali — ferro, marmo, rame — giacevano in ogni angolo. In uno spigolo una coppia di capponi legati ancora dai piedi ed otto di quei caciocavalli di Pollino che i ghiottoni napolitani trovano deliziosi. Li aveva ricevuti in dono proprio allora, e monsignore non aveva pensato di farli torre via prima di ammettere il prete alla sua udienza. Un Cristo in avorio, grassotto e panciuto, pendeva dal muro alle sue spalle, fiancheggiato da un’immagine di San Alfonso all’aria di un doppione in galloria, dall’altra il ritratto del marchese di Sora. A portata della sua mano una sferza. Perchè monsignore infliggeva personalmente la ferula ai seminaristi... per fare della ginnastica! Sur una tavola, una disciplina di missionario, un paio di manette da gendarme, un sacco di libercoli sul Cuore di Gesù. Poi, dei bei ricami per le sue cotte ed i suoi camici, una manata di