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porta. Un buco aperto, in un lato, centuplicava l’infezione. I suoi abiti erano saturati dell’orribile distillato della vôlta. Aveva freddo, — il peggiore dei freddi, quello che viene di dentro, e perciò dal cuore e dalla midolla allungata, che si agghiadano a spese del cervello. Impossibile di distinguere nulla in quel sotterraneo da maiali. Non pertanto, quando le pupille, a forza di aguzzarsi, si erano dilatate come due rosoni da cattedrale, si scorgevano ancora delle orride piccole lucertole giallastre strisciar lungo le pareti. Il silenzio — un silenzio da steppe — lo schiacciava. Egli non udiva più, degli strepiti della vita, che il tintinnio cadenzato delle vene delle tempia, e la gocciola di umidità che cadeva. Non pensava più; ma dei vaneggiamenti indistinti, dei delirii, delle allucinazioni, dei briccioli d’idee, delle reminiscenze confuse, delle aspirazioni strangolate, venivano a rompersi sotto la volta del suo cranio, come le onde del mare sulla sponda. Se egli avesse creduto giammai alla spiritualità dell’anima, — di un’anima come un gioiello in uno scrigno, — ne avrebbe dubitato adesso.

Otto giorni dopo essere stato macerato così, non vedendo il secondino che ogni due giorni per qualche secondo, e’ fu infine trascinato innanzi al commissario di polizia, in una vasta sala, il cui mobilio lo spaventò.

Egli vedeva delle corde pendere da anelli confitti alla vôlta, delle catene ribadite alle mura, dei cavalletti, dei fasci di verghe, degli arganelli di cui doveva apprendere l’uso, una specie di letto da campo, tutto un arsenale di ferraglia, di fornelli.