Pagina:Petruccelli Della Gattina - Il Re prega, Milano, Treves, 1874.djvu/28


— 20 —

pecunia. Egli dava ordini ai prefetti, alla gendarmeria, ai presidenti dei tribunali: si sarebbe detto che avesse ministri e re nella scarsella. Sapeva di tutto. Ed in realtà, sapeva molto: lettere e scienze come affari. Nessuno raccontava un aneddoto bernesco o lugubre al pari di lui: egli possedeva la vena della buffoneria al grado supremo. Onde è che bisognava vedere come le religiose dei conventi ammattivano per lui e come le gonne correvano dietro alla sottana violetta.

Con i liberali, con i filosofi, con i liberi pensatori cui non terrorizzava, con coloro che punto nol temevano o non avevan bisogno di lui, egli prendeva un’aria untuosa, melliflua, e dava ad intendere che, se il suo mestiere di vescovo gl’imponeva una certa condotta, il suo cuore era lontano dal giustificarla. Egli mi ha detto un giorno, a me che scrivo queste pagine: «Nessuno fa il carnefice di cuore gaio; io sono più italiano di voi!»

Egli utilizzava tutto. Gli uomini, i fatti, gli avvenimenti, le passioni, divenivano nelle sue mani delle pedine che l’aiutavano a giuocar la sua partita di scacchi. Egli scandagliava un’anima, pesava un uomo con uno sguardo. Guai a chi era più forte di lui, o poteva divenire un ostacolo! Egli si serviva di una calunnia, che poteva partorire una sentenza capitale, come di un agnus dei a dare ad una beghina. Però egli largiva gratis un’assoluzione in articulo mortis alla sua vittima, e si scomodava per andarla a confessare in persona ed accompagnarla al patibolo.