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t’uomo, perocchè egli era avaro come un prete soppannato di un vescovo, un vescovo foderato di un monaco. Egli non faceva punto mistero di questo traffico; all’occorrenza avrebbe trattato innanzi notaro! Si depositava al Banco, al suo indirizzo, il danaro convenuto qual prezzo del posto, e monsignore andava a pigliarselo quando le convenzioni verbalmente stipulate erano adempite. Egli riceveva molti regali di ogni sorta. Ma una gran parte di questi doni, bisogna pur confessarlo, pigliava la volta di Napoli onde intrattenere le piccole amicizie degl’impiegati e richiamarsi alla memoria dei ministri. Re Ferdinando gli dava del tu e gli baciava la mano. La regina austriaca orlava per lui dei moccichini di seta delle Indie e gli regalava del tabacco da naso. Egli raccontava storielle ai piccoli principi, e le piccole principesse giuocarellavano col suo berrettino e con la sua croce episcopale.

Monsignor Laudisio portava la sua dignità con un’aria di gendarme. Aveva il verbo alto, la voce un poco rauca a causa del suo lungo predicare. Ei declamava, anche dicendo un: come stai, figliuolo mio? Aveva i modi vivi, intermittenti, mostrandosi a volta a volta brusco od insinuante, secondo la convenienza, le disposizioni dell’animo, la natura dell’affare, il carattere e la condotta dell’individuo con cui trattava. Egli piaggiava anche talvolta. Nella collera poi ruggiva, dava calci, pugni, schiaffi; — ma in quest’ultimo caso aveva cura di voltare al di dentro l’amatista del suo anello episcopale, per imprimerla sul viso dell’infelice cui batteva.