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— Disingannatevi, signore. Io non ho alcun protettore e non ne desidero alcuno, al prezzo cui voi supponete. Ve lo ripeto: io ignoro dove mia sorella si trovi. Ma lo sapessi pure, lungi dal consegnarvela, la coprirei del mio petto e del mio braccio. Io vi diceva or ora che io non poteva accordarvi ciò che io non possedevo più. Vi dico ora, che ve la rifiuto in modo reciso. Traffichiamo di altro che di cuori innocenti e di corpi puri, signore. Capite? Voi mi avete domandato una somma di sei mila ducati per investirmi di una diocesi. Questa somma sarà pronta fra qualche settimane; ma essa è il salario del mio lavoro, non del mio onore. Non posso dirvene altro. Non siate dunque severo. Reprimete la vostra collera senza ragione. Io non giudico i vostri principii; ma rinunziate a farmeli dividere o ad impormeli. Noi abbiamo tutti un idolo nel cuore; il vostro è d’oro, il mio è d’amore.

— Sta bene. Ringuainate codeste frasi risuonanti, io ne ho lo spaccio privilegiato. Vi accordo otto giorni per riflettere, se n’è tempo ancora. Vi hanno ingannato sull’onnipotenza dei gesuiti. Non vi sono a Napoli che due uomini potenti, più potenti che lo stesso re: monsignor Cocle ed il marchese di Sora. Il primo domina il re per la coscienza; l’altro lo tiene per la paura. Questi due personaggi sono miei amici. Essi saranno i vostri protettori quando lo vorrete. Non aggiungo altro. Voi non siete più un fanciullo. In questo paese nulla si dona; tutto si vende — anche il diritto di vivere. Di quale moneta pagate voi il vostro? Tutta la quistione è là. Riflettete.