Pagina:Petruccelli Della Gattina - Il Re prega, Milano, Treves, 1874.djvu/254

— Ditemi il nome del complice ed in ventiquattro ore vostra sorella vi sarà restituita.

— Nol posso, nè voglio. Mia sorella si è sottratta da casa mia perchè essa mi vedeva favorevole alla vostra domanda. Io lo era allora. Qualcuno ebbe la malignità o l’accortezza di dirle, che voi volevate sposarla per farne il marciapiede della vostra ambizione e forse della mia. In faccia di questo dubbio, penetrato nel suo spirito, posso io esercitare su di lei un ascendente qualunque, morale o fisico? Ve ne lascio giudice.

— Signor abate, io vedo chiaro in tutto codesto, o se volete, vi vedo più chiaro di voi. Il P. Piombino è passato di colà.

— Che intendete voi dire?

— Mi spiego. Il P. Piombini è stato ferito dalla bellezza di vostra sorella. Non è la prima volta d’altronde che quel R. P. si permette di codeste bazzecole. Egli ha fatto brillare innanzi agli occhi vostri non so quali vantaggi che vi han dato le traveggole; e voi non avete visto così vostra sorella evadersi dal focolare domestico. Ecco tutto.

— La vostra supposizione è talmente bassa ed insultante che io non degno rispondervi.

— E fate bene, perchè io non vi crederei. Anzi soggiungo, per essere più chiaro, che io non sono il vostro merlotto, e che non riceverò l’affronto con indifferenza. Voi avete pensato che il P. Piombini era più potente. Vi siete ingannato. Voi non conoscete chi ho dietro a me che s’interessa al mio matrimonio. Voi avete offeso dei personaggi che possono polverizzarvi con un aggrottar di sopracciglio.