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gliendo su il tondo della polenta a cui suo fratello non toccava più, e mettendo sulla tavola qualche cipolla, qualche mela ed un pezzo di caccio di capra che civettava la pietra pomice.

— Un favore? replicò Don Diego sorridendo.

— Perchè nò? quelle bestie lì sanno altrettanto bene leccare che mordere.

Il martello della porta scoccò tre colpi. L’orologio della chiesa suonò un’ora e mezzo. Il fratello e la sorella si guardarono negli occhi, come se arrivasse qualche cosa d’insolito e di straordinario.

— A quest’ora! disse Bambina.

Don Diego si alzò ed andò ad aprire.

— Buonasera a vossignoria, don Diego, disse entrando il famigliare della Curia (la cancelleria del vescovo). Vi porto una lettera del segretario di monsignore.

— Date qui, disse Don Diego prendendo la lettera. Vi occorre risposta?

— Non mi han detto nulla.

— Entrate, mastro Prospero, gridò Bambina. Che io vi versi un bicchiere di vino.

— Mille grazie, donna Bambina, rispose il famigliare, cioncando due bicchieri mentre Don Diego leggeva la lettera.

— No, disse questi: non vi è risposta a dare.

— Buona notte alle signorie vostre, disse il famigliare, e partì.

Don Diego richiuse la porta, poi ritornò a sedersi a tavola senza fiatare.

— Che vogliono dunque? chiese Bambina.

— Leggi e capisci se puoi, rispose Don Diego porgendole la lettera.