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to, il violino, la chitarra ed il mandolino. Il cantante dava il tuono. Tre concorrenti, che non avevano buona voce, si fecero surrogare dai loro allievi.

Noi passiamo oltre quattro di quelle canzoni, quantunque con rincrescimento; perchè ve ne fu una sopratutto, di un gobbo merlettaio, che fu molto bella e che, ritoccata poi, fu ricevuta due anni più tardi, — la canzone del Mastrillo. Ma noi non possiamo omettere quella di Gabriele nè quella di Filippo, che furono il punto di origine di tante sciagure. Entrambi avevano cantato la stessa donna, quella stessa Concettella che era con Gabriele ed aspirava a Filippo. Gabriele era bello; Filippo, ricco. Ora, la donna è inesorabilmente logica. La natura dà la bellezza; l’uomo deve dare gli ornamenti.

Filippo aveva inoltre una tale rimarchevole voce di tenore, che avrebbe valso dei milioni, se Filippo fosse stato cantante in luogo di essere marinaio e padrone di due barche. Gabriele aveva una voce di baritono, armonica ma molto meno bella. Egli era il quinto e cantò:

«Quando eri ammalata, io mi teneva vicino al tuo letto, Concettella. Io udiva il tuo cuore battere con violenza: io ti compresi, mi tacqui, ma ti amai.

«Adesso tu sei guarita, e sono io che da tre giorni sono infermo. Ma quando si è innamorati bisogna passare per questi guai.

«Rinfresca col tuo fiato odoroso, rinfresca la mia febbre; ma non dire, Concettella, oh! non dire che io sono piagnoloso e ti attedio.