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Due fatti colpirono il suo spirito.

Un giorno, passando davanti al convento di Santa Maria Nuova, e’ vi vide accalcata una cinquantina di persone, vecchi storpi e cenciosi, e fanciulli di sette od otto anni sparuti e nudi. Tutta questa gente aveva un coccio smussato sotto il braccio. In aspettando, recitava il rosario ed uccideva i pidocchi. I fanciulli acchiappavano le mosche. Quello spettacolo divertì Gabriele: si fermò. Ad un tratto, la porta del convento si aprì, e vide comparir sulla soglia un frate estremamente grasso ed oleoso, il volto acceso ed inzaccherato di tabacco, di brodo e di vino. Due altri fraticelli, egualmente sporchi ma più giovani ed il viso più raffilato, seguivano fra Gaetano. Essi trascinavano un’immensa caldaia, nella quale si erano riuniti a sghimbescio i residui del pranzo di centosettanta monaci, formando così un pappalecco senza nome nel pandemonio culinario, di un colore indeterminato, di una forma indecisa e di un gusto cui la fame sola poteva far trovare tollerabile. Alla vista del pajuolo, i pater e le ave si perdettero in un cospettare sommesso scambiato tra i mendicanti, tarabussandosi a chi passerebbe il primo.

Su questo brontolare assordante, risuonò il vocione di fra Gaetano, che gridò:

— L’anima vostra! volete tenervi la lingua tra i denti?

E ciò dicendo, sollevava il suo scettro, — il lungo e profondo cucchiaio di cui si serviva per distribuir la pietanza.