Pagina:Petruccelli Della Gattina - Il Re prega, Milano, Treves, 1874.djvu/164

della settimana.... Io attendo il mio salario da quarant’anni. Giammai. Il dado è gettato. Io voglio esser vescovo. Io l’ho promesso a mons. Laudisio. Io me lo son giurato. Mi domandano seimila ducati. Non li ho, non li avrò mai a meno che non vada ad arruolarmi come brigante nella banda di Talarico. Se io avessi un segreto di Stato a mettere a partito, — uno di quei segreti che fanno marciare i complici, che s’impongono al re, di cui si traffica come d’un diamante, quando il coltello od il veleno non saldano la reale riconoscenza... — Ah! se io avessi un segreto di questa natura... io forzerei il pastorale a venirsi a collocare fra le mie mani. Ma non vi sono che i ministri ed i grandi confessori che posseggono di cotesti segreti, ed essi ne usano per loro proprio conto. Che mi rimane allora? Te, Bambina, te mia pura, bella, fragile e santa creatura.

— Me! e come? sarebbe dunque possibile? sarebbe dunque vero?

— Ascoltami bene, figlia mia. Io ho capito infine il gioco di quel Don Domenico Taffa che ti domanda in matrimonio. Il barone di Sanza aveva ragione. Egli è un uomo infame, un ambizioso abbietto, e che vuol essere segretario generale o consigliere di Stato e che trafficherebbe di te per il suo unico profitto. Ed io! io resterei gocciolone come prima.

— Avevan dunque ragione?

— Avevan ragione, ma s’ingannavano su questo: poichè bisogna assolutamente che tu sii il prezzo dell’ambizione di qualcuno, tu lo sarai della mia.