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— Della calma, Bambina, della calma, disse Tiberio alzandosi. Non si gettano gli amici dalla finestra con tanta leggerezza, per un dispetto inopportuno. Mia madre e mio padre vi amano; io vi ho sempre cara più che sorella. Malgrado il vostro risentimento io m’interesserò dunque a voi. In tutte le peripezie della vita, voi non avete che a dire una parola per vedermi presso di voi. Non ci diciamo addio dunque. D’altronde io ho il convincimento che i sospetti che sorgono contro vostro fratello, si dissiperanno.

— Non una parola di più su mio fratello, ve ne supplico. Torturatemi tanto che vi piace, ma non sporcate, neppure col pensiero, questo sventurato che lotta in mezzo al naufragio. Voi non eravate crudele un tempo. Parlategli, spiegatevi con lui, dimandategli ragione della sua vita, della sua anima, scandagliate quel cuore che è un abisso di dolore. Ei non vi nasconderà nulla.

— No, figliuola mia, ciò non si può. Io non sono il suo giudice d’istruzione. Io vi ho riferite, come un fratello a sua sorella, le terribili insinuazioni che corrono sul suo conto. L’avvenire lo giudicherà, ne son certo. Ma io non posso dimandargli ch’ei si difenda. Dovrei cominciare per significargli i suoi accusatori ed i suoi giudici, — ciò che io non posso. Nel nostro partito, noi giudichiamo gli atti. Ebbene, ch’egli cessi di frequentare Don Domenico Taffa e di mandarvi a prostituire l’anima al confessionale di un gesuita.

Quest’ultima parola cadde come il fulmine sul capo di Bambina. Ella divenne cadavericamente pallida, ed articolò appena le parole: